ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Ricevi gli ultimi aggiornamenti dal mondo Pictet!

Biotecnologie

Il settore farmaceutico tra volatilità e biotech

Maggio 2018

L'industria sta attraversando un periodo di trasformazione sia dal punto di vista del modello di business sia per l'impatto delle nuove tecnologie. Anche dal punto di vista finanziario.

Il settore farmaceutico sta attraversando un periodo di transizione. Da target d'investimento difensivo, ha incontrato negli ultimi anni una volatilità maggiore. Dietro la quale ci sono diversi elementi, a cominciare dalle promesse elettorali di Donald Trump fino a una trasformazione nel modello di business che rende meno definite le prospettive di medio-lungo termine.

Perché il settore è più volatile

La farmaceutica italiana è un settore in salute. Secondo i dati diffusi dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, ha 65mila addetti, 15mila nuovi farmaci in sviluppo, 7mila farmaci già in sperimentazione clinica, 31 miliardi di fatturato in produzione, 2,8 miliardi di investimenti in ricerca clinica e 700 milioni in studi. Ovunque però si assiste a un cambiamento, spiegato al Sole24Ore da Silvio Belletti, esperto di BCG. In passato, alcuni farmaci (specie nell'assistenza sanitaria di base) potevano contare su un volume di vendite enorme, spalmato su più anni e che, nel tempo, incrementavano ricavi e margini. La loro performance dipendeva dagli investimenti su distribuzione e marketing. Insomma: le imprese potevano contare su farmaci blockbuster. Oggi c'è invece una maggiore difficoltà a innovare nella cosiddetta “primary care”. E devono affrontare l'incombenza delle scadenze brevettuali. Risultato: le società farmaceutiche si sono spostate verso cure più specifiche, perché ciò che conta è la capacità di registrare nuovi farmaci e ottenere prezzi di rimborso adeguati ai costi di ricerca. Questo nuovo modello può dare risultati brillanti, ma anche molto negativi. In generale, è comunque un business che Belletti definisce “meno stabile”. 

L'influenza di Trump

L'altro fattore a impattare sui farmaceutici è il programma Trump. Tra le sue promesse elettorali, l'attuale presidente aveva indicato il ridimensionamento del cosiddetto Obamacare (cioè del programma che consente un più facile accesso alle cure mediche per i meno abbienti). In cambio Trump vorrebbe imporre l'abbassamento dei prezzi dei farmaci con obbligo di prescrizione medica. Due mosse che non piacciono al settore. Che non a caso ha allargato la spesa in attività di lobbying, pagando però il clima di incertezza in borsa. Nonostante i risultati economici (nella maggioranza dei casi) migliori delle attese delle ultime trimestrali, il settore farmaceutico americano ha ceduto l'11,4% da inizio anno (contro la flessione dell'1% dello l’S&P 500). Da inizio 2017 a maggio 2018, l'indice principale ha guadagnato il 18,4% mentre quello di settore ha perso l'1,4%.  

Il contributo del biotech

Qual è la reazione? Prima di tutto una più spiccata tendenza alle acquisizioni. Una coagulazione che vuole consolidare il business e, allo stesso tempo, inglobare le novità più interessanti. Che spesso arrivano dal biotech, sia dal punto di vista scientifico-imprenditoriale che finanziario. Il Biotechnology Index del Nasdaq ha guadagnato il 14,5% dall'inizio del 2017. Ha quindi fatto molto meglio dei titoli farmaceutici, anche se peggio dello S&P 500. Dall'inizio di quest'anno, anche il biotech ha affrontato un calo (-7,2%), ma comunque più contenuto rispetto a quello dei farmaceutici. In prospettiva e guardando al nuovo modello di business imposto da regole e mercato, il biotech sarà decisivo perché dovrebbe contribuire a introdurre cure meno costose. Consentendo ai titoli di riconquistare vigore anche con un orizzonte temporale più ampio. Lo ha sottolineato di recente anche Sergio Dompé, presidente di Pharmintech Exhibition: per il settore farmaceutico la scelta della rivoluzione  tecnologica 4.0 “non esiste: è un obbligo”.